Le persone dietro l’ racconto

Claude Richstein
Su questa tematica si esprime Claude Richstein:Claude Richstein
«Fino all'età di dodici anni, aveva una buona famiglia affidataria. Fu dopo che iniziò l'orrore.»

Fotografo: Mario Delfino
Claude Richstein venne al mondo nel 1961. Siccome i suoi genitori non potevano tenerlo, inizialmente fu collocato in istituto, poi presso una famiglia bernese che aveva già un altro bambino in affidamento. Vi trascorse i primi anni della sua vita, in un ambiente amorevole. I genitori affidatari avrebbero voluto adottarlo, ma la madre biologica si rifiutò.
All'età di dodici anni, il suo tutore lo mise in un istituto del Vallese, perché i genitori affidatari non volevano più assumersi le spese che ne derivavano. Dopo un anno, il tutore lo accusò (a torto) di aver rubato delle sigarette e lo spostarono in un altro istituto. Claude Richstein per quattro anni soggiornò quindi ad Aarwangen (AG), dove dovette lavorare gran parte delle giornate. A 16 anni fu trasferito all’istituto «Pestalozzi» di Birr (AG), dove per tre mesi altri giovani lo sottoposero a violenze estreme: un orrore per lui.
Una volta liberato dall’istituto, Claude Richstein visse fino all'età di 20 anni in un appartamento con il figlio maggiore della famiglia affidataria. Quest'ultimo ha sempre avuto un ruolo importante nella sua vita e l'ha aiutato a farsi strada – in diversi aspetti ai quali gli anni trascorsi in istituto non l'avevano preparato. Claude Richstein ha fatto lavori appassionanti e a sessant’anni ha persino intrapreso un corso di formazione Spitex.
Claude Richstein si considera fortunato ad essere in buona salute e ad aver incontrato molte persone che l’hanno amato. Cerca di trasmettere un po' di questa felicità alle persone che oggi hanno bisogno di aiuto. Trae la sua forza dalla fede, che lo ha aiutato ad accettare il suo vissuto e a proseguire nel suo cammino.

Nadine Felix
Su questa tematica si esprime Nadine Felix:Nadine Felix
«Guardate, fate domande, impegnatevi: è d’importanza oggi, quanto lo sarebbe stato in passato.»

Fotografo: Mario Delfino
Nadine Felix venne al mondo a Zurigo nel 1975 da madre alcolizzata. Nel suo primo anno di vita, deve la sua sopravvivenza a un fratellastro e a una sorellastra più grandi, che si presero cura di lei. Un anno dopo la sua nascita, fu adottata da una coppia. Nadine Felix è venuta a sapere quanto accaduto all'epoca solo molto più tardi: quando incontrò la sua famiglia biologica, a 35 anni.
Fino ai suoi 14 anni, credeva di essere cresciuta con i suoi genitori biologici. Quando i suoi genitori adottivi si separarono, fu collocata senza preavviso nel bel mezzo del suo 5° anno di scuola elementare. Dopo un po` di tempo passato a Coira, arrivò a Zurigo presso la struttura «Hirslanden». In una lettera dei servizi di tutela di Coira, venne a sapere che da bambina era stata adottata.
Con i compagni di classe dell'istituto, a volte faceva delle «uscite»; andava a delle feste e ballava tutta la notte. Nadine Felix ha conservato le scarpe che indossava in quelle occasioni fino ad oggi.
Nadine Felix avrebbe dovuto trascorrere un anno in un istituto scolastico da internata e seguire una formazione in economia domestica, ma cercò di fuggire in Italia con la sua amica. Fu riportata ammanettata nella divisione degli internati di «Loryheim» (BE). Nelle prese di decisioni che la riguardavano, Nadine Felix non ha mai avuto voce in capitolo. Tra i tanti professionisti incontrati nel corso del suo cammino, tra le varie terapie a cui si è dovuta sottoporre, nessuno cercò di conoscere i suoi bisogni.
Al decesso della sua tutrice, Nadine Felix aveva solo 20 anni. Le autorità rievocarono la tutela senza mettere in atto nulla per aiutarla a riuscire nel suo passaggio verso una vita indipendente. Entrò nella droga. Dopo sette anni di uso di eroina, decise di fare una cura di disintossicazione. Suo figlio (oggi adulto) nacque un anno dopo; lo ha cresciuto da sola. Nadine Felix ha seguito diversi corsi di formazione, tra cui uno come responsabile pedagogica di un asilo nido, così che per dieci anni ha gestito il proprio asilo nido. Il rispetto verso ogni persona per lei è importante, così come mettere le cose in chiaro quando questo rispetto viene a mancare.

Fotografo: Mario Delfino

Peter Bönzli
Su questa tematica si esprime Peter Bönzli:Peter Bönzli
«Nel mio cammino ho sempre trovato persone che mi hanno aiutato e incoraggiato.»

Fotografo: Mario Delfino
Peter Bönzli venne al mondo a Berna nel 1947. Quando suo padre morì, sua madre perse la custodia dei suoi quattro figli. Un giorno mentre giocava per strada, due uomini lo presero e lo portarono in un istituto per collocamenti provvisori. All'età di cinque anni fu inserito presso il «Brünnen», un istituto educativo per giovani, a Bümpliz (BE).
Il suo primo anno al «Brünnen», lo trascorse con i figli del direttore per cui godeva di grande libertà. Tutto cambiò all'inizio della sua scolarizzazione: doveva lavorare così tanto che gli rimaneva poco tempo per la scuola. Suo fratello Kurt, più giovane di lui, fu inserito nello stesso istituto scolastico. Una volta al mese aspettavano la visita della madre, spesso invano. A volte, i due fratelli vedevano le loro sorelle oltre la recinzione, collocate proprio accanto in un istituto femminile.
Alla fine della scuola dell'obbligo, i ragazzi del «Brünnen» venivano mandati a svolgere diversi lavori. Peter Bönzli lavorò un anno in una tabaccheria postale del Giura bernese. In seguito, si trasferì dalla madre a Basilea e iniziò un apprendistato come assistente di laboratorio, ma dovette interromperlo nel 1964 a causa di un incidente sul lavoro. Si iscrisse a un corso di formazione come impiegato di commercio, che trovò difficile a causa della sua scarsa formazione ricevuta in istituto. Il suo percorso professionale lo portò, dopo vari incarichi nell’ambito della vendita, a dedicarsi alla consulenza aziendale. Nel 1992 creò la propria azienda e nel 2004 l’ha venduta per andare in pensione anticipata.

Peter (a destra) e Kurt Bönzli, 2021. Foto: Mario Delfino

Robert Blaser
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«Nel mio caso, sono state coinvolte tre generazioni.»

Fotografo: Mario Delfino
Robert Blaser venne al mondo a Zollikofen (BE) nel 1957. Con entrambi i genitori che dovevano lavorare per arrivare alla fine del mese, i figli Blaser erano lasciati a loro stessi. Nel 1962 le autorità posizionarono la madre di fronte una scelta straziante: rinunciare a un'attività lucrativa o dare i suoi figli in affidamento. La scelta andò sull’affidamento e i fratelli furono disseminati. Robert Blaser trascorse i successivi dieci anni presso l’istituto d’educazione di Landorf, a Köniz (BE). Al suo arrivo, dovette farsi rapidamente un posto nella gerarchia che regnava tra i ragazzi, situazione di cui ne avrebbe tratto profitto più tardi.
Sin dalla più tenera età, Robert Blaser aveva un’inclinazione per la tecnologia, ma quando si trattava di scegliere un percorso professionale, non gli proponevano opzioni adatte. Uscì dall'istituto a 18 anni, ma non avendo un lavoro fisso, il suo tutore chiese una misura coercitiva a scopo assistenziale: fu quindi sottoposto a un internamento amministrativo di due anni nella casa del lavoro di «Kalchrain» (TG). Anche dopo i 20 anni, Robert Blaser continuò a essere sotto curatela.
Pure suo padre da giovane fu internato per decisione amministrativa e non era cresciuta in famiglia neanche la sua prima moglie. Quando quest’ultima rimase incinta, la giovane coppia voleva sposarsi ma non gli fu permesso. Le autorità portarono via la sua compagna e Robert Blaser per molto tempo non sapeva dove si trovasse. Quando la giovane madre diete alla luce il loro bambino, le fu tolto poco dopo e la coppia dovette aspettare due anni per recuperarlo.
Successivamente, la sua passione per la tecnologia portò Robert Blaser a lavorare nel campo dell'isolazione termica e a depositare con successo un brevetto per una sostanza Minergie utilizzata nell'edilizia. Oggi Robert Blaser difende le persone oggetto di collocamenti forzati. In questo contesto, presiede l'associazione «Fremdplatziert» («Collocati di forza») e, insieme alla sua compagna Brigitta Bühler, ha aiutato più di cento persone a presentare una domanda presso il fondo di solidarietà.

Michael
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«Un istituto non è una vera casa e gli educatori non sono dei genitori.»

Fotografo: Mario Delfino
Michael venne al mondo a Zurigo nel 1964. Terzo figlio di genitori giovanissimi e politossicodipendenti, ancora oggi non sa quanti fratelli e sorelle abbia. I suoi nonni si presero cura di lui finché, dopo la morte del nonno, le autorità tutorie della città di Zurigo lo sottrassero alla nonna, anche se lei avrebbe voluto tenerlo con sé.
Innanzitutto, Michael fu collocato in diverse famiglie affidatarie e poi a nove anni fu trasferito al Heizenholz di Zurigo-Höngg. Alcuni degli educatori e educatrici erano bendisposti, altri violenti. Quello che gli mancava era una persona di fiducia cui rivolgersi in caso di domande o problemi. Anche dopo aver lasciato l'istituto, gli sarebbe piaciuto avere una persona di riferimento, qualcuno a cui porre domande su argomenti come le finanze, le imposte, ecc.
Dopo la scuola dell'obbligo iniziò rapidamente un apprendistato, perché le autorità minacciavano di internarlo di nuovo, questa volta in Svizzera romanda. Durante questi anni di formazione, viveva in uno studio e riuscì a mantenersi. La sua tutela venne revocata quando diventò maggiorenne. Seguì quindi la sua strada, si fece degli amici, fondò una famiglia e nel suo lavoro ha sempre prosperato.
Parla apertamente della sua infanzia, anche con sua figlia: ci tiene a non trasmetterle il suo vissuto doloroso e a spezzare il cerchio della violenza. Michael ritiene molto importante effettuare un lavoro di memoria e di riconoscimento dell'ingiustizia subita, sia per le persone oggetto di misure coercitive sia per la società.

Michael e sua figlia Julia a paracadutismo, 2019. Foto: Privati

Gabriela Pereira
Su questa tematica si esprime Gabriela Pereira:Gabriela Pereira
«Hanno reso noi bambini apolidi. E la nostra famiglia è stata dispersa.»

Fotografo: Mario Delfino
Gabriela Pereira venne al mondo a Wohlen (Canton Argovia) nel 1964, da madre portoghese e padre svizzero. Nonostante i suoi genitori pensassero di sposarsi, quando ebbe 18 mesi le autorità la collocarono in un orfanotrofio gestito da Suore, le Sorelle di Menzigen.
Seguì una famiglia affidataria, poi tre istituti cattolici fino ai suoi 17 anni. Durante il soggiorno all’«Heim für Schwererziehbare» («Istituto evangelico per adolescenti difficili») a Freienstein (ZH), trascorreva sistematicamente le vacanze scolastiche in case di contadini per lavorare, come molti bambini in affidamento. In ognuna di queste dimore, subiva violenze e diversi abusi sessuali.
Quando il padre di Gabriela Pereira morì, nel 1967, i servizi sociali negarono alla famiglia l'accesso all'eredità e al denaro che aveva messo da parte per garantire un futuro ai suoi figli.
Non potevano neanche andare in Portogallo, dal momento che le autorità avevano reso apolidi Gabriela Pereira e suo fratello e comunque la famiglia non poteva permettersi il viaggio. Gabriela Pereira dovette aspettare l'adolescenza per ottenere il passaporto svizzero. È solo grazie alla madre che riuscì a conservare la sua vitalità interiore, proprio perché perveniva sempre a riportare a casa la figlia e a ridere delle terribili esperienze.
Al decesso di sua madre, nel 2003, Gabriela Pereira cominciò ad approfondire il suo passato e a impegnarsi nella politica. È convinta che: «Non ci sarà alcun lavoro di commemorazione possibile, fintanto che i sopravvissuti sono lasciati soli nel dibattersi con le conseguenze del loro trauma, fintanto che hanno pochi mezzi finanziari per rendere più sopportabile le ripercussioni delle loro esperienze sulla loro salute e fintanto che si continua a imporgli misure amministrative coercitive».

Gabriela Pereira: Der Zertrümmerung und gleichzeitig der Gegenwehr Ausdruck geben («Esprimere sia disintegrazione sia resistenza»), (olio su lino, 2020). Fotografia: fonte privata
Julia Meier*
«Relazionarsi tra pari nel rispetto reciproco: non è solo importante, ma possibile.»

Fotografo: Mario Delfino
Julia Meier venne al mondo nel 2001, da madre cresciuta in Svizzera in una famiglia affidataria e da un padre originario di Cuba. Da bambina, quando era in stanza, sentiva regolarmente i suoi genitori litigare; si separarono quando lei aveva cinque anni. Fino all'età di dieci anni, Julia Meier andava a trovare suo padre frequentemente. In seguito, mise a termine i contatti, proprio perché la metteva costantemente sotto pressione e non era mai soddisfatto di lei. Per Julia Meier, i primi anni dopo la separazione dei suoi genitori non furono facili. Dislessica, i suoi risultati scolastici erano altalenanti a seconda del suo stato psicologico.
Ci è voluto del tempo, affinché sua madre si riprendesse dalla depressione che l'aveva portata a separarsi dal padre, per poi divorziare qualche anno dopo, e affinché fosse in grado di prendersi di nuovo cura di sua figlia. Durante questi anni, per Julia Meier il supporto psicologico da parte di professionisti ebbe un ruolo importante.
Successivamente, madre e figlia sono riuscite a ristabilire una relazione e Julia Meier ha imparato a esprimere i suoi bisogni. Ad oggi hanno una relazione di prossimità e un buon rapporto. Possono finalmente parlare del percorso doloroso vissuto dalla loro famiglia nel corso di diverse generazioni.
*Il nome è stato sostituito con uno pseudonimo.

Tanja Meier*
Su questa tematica si esprime Tanja Meier*:Tanja Meier*
«Neanche mia madre e mia nonna sono cresciute con i loro genitori.»

Fotografo: Mario Delfino
Tanja Meier venne al mondo nell'Alto zurighese nel 1965. Quando nacque suo fratello, la madre aveva solo 18 anni e non era sposata. L’anno dopo partorì Tanja Meier. Il padre dei due bambini era Sardo. A undici mesi Tanja Meier fu collocata in una famiglia affidataria che faceva parte di una Chiesa libera pietista, dove rimase fino all'età di 25 anni. Quanto a suo fratello, fu sballottato da un luogo all'altro.
Tanja Meier si considera fortunata rispetto a suo fratello. Tuttavia, diventò il capro espiatorio di sua madre affidataria. Siccome quest'ultima denigrava sistematicamente sua madre e sua nonna, Tanja Meier cercò a tutti i costi di non assomigliargli. Lei e suo fratello non sono i soli della famiglia ad essere cresciuti lontani dai genitori: la madre (e i fratelli) e anche la nonna furono collocati alla morte di uno dei genitori.
Una domenica nel giorno delle visite, Tanja Meier si rifiutò di incontrare suo padre, perché cominciava a essere invadente, ma il suo tutore minacciò di collocarla in un istituto.
Tanja Meier ebbe un esaurimento nervoso all'età di 16 anni e i suoi genitori affidatari rifiutarono l'aiuto del servizio psicologico scolastico. Fu solo nel 2017 che capì il motivo per il quale, per decenni, aveva sempre così tanti problemi di salute: soffriva di disturbi da stress post-traumatico.
Tanja Meier sarà di nuovo oggetto di violenza psicologica da adulta, questa volta all'interno del suo matrimonio. Il padre di sua figlia cercò di portargliela via. Fece quindi un secondo esaurimento nervoso nel 2004, prima di trovare la forza, tre anni dopo, di separarsi dal coniuge e di iniziare una nuova vita con sua figlia.
*I nomi sono stati sostituiti da pseudonimi.

Tanja Meier* con sua figlia Julia*. Fotografo: Mario Delfino
Brigitta Bühler
«Non avevo mai sentito parlare di questo terribile capitolo della storia svizzera.»

Fotografo: Mario Delfino
Brigitta Bühler venne al mondo a Zurigo nel 1969. Ha trascorso un'infanzia felice, di cui ha un buon ricordo. Dopo aver completato la scuola dell'obbligo, ha fatto un apprendistato di venditrice in un negozio di scarpe. Ha due figli da un primo matrimonio.
Nel 2009 ha incontrato il suo attuale compagno, Robert Blaser. È venuta a conoscenza solo gradualmente dei collocamenti e delle misure amministrative che hanno segnato il suo percorso di vita. Brigitta Bühler ha comprato libri sul tema e ha cominciato a informarsi, ma per lei non è facile proprio perché i racconti delle persone che hanno subito tali violenze la sconvolgono.
Conoscere la storia del suo compagno l’ha aiutata a capire alcune delle sue reazioni e particolarità. Brigitta Bühler lo sostiene anche nel suo impegno nell'associazione «Fremdplatziert» («Collocati di forza»), ad esempio aiutando le persone che hanno subito misure coercitive a presentare una domanda presso il fondo di solidarietà. Alcune temono che i loro cari vengano a conoscenza del loro passato negli istituti, per cui richiedono regolarmente di non visitarli a casa o/e di non chiamarli al telefono fisso. Brigitta Bühler ritiene sia molto triste che queste persone non possano raccontare la loro storia ai loro familiari. Consiglia quindi a tutti di prestare attenzione, fare domande e ascoltare i propri cari.

Beni Freudiger
Su questa tematica si esprime Beni Freudiger:Beni Freudiger
«In istituto ho passato dei buoni anni.»
Beni Freudiger venne al mondo nel Canton Soletta nel 1958. Nell'estate del 1960, sua madre si ammalò. Lui e il fratello maggiore furono quindi collocati a Menzingen (ZG), nel «Marianum», un istituto per bambini gestito da Suore. Sua madre e suo padre, ormai separati, gli facevano visita di tanto in tanto. Beni Freudiger quando arrivò all’istituto ne era il più giovane. Vi rimase quindici anni, finché il «Marianum» chiuse, nel 1975.
Al «Marianum» Beni Freudiger trascorse anni bellissimi. Le Suore di Menzingen erano gentili e con una di loro stabilì un rapporto di privilegio.
La Suor Superiora, che dopo la chiusura del «Marianum» dirigerà il «Klösterli», un istituto per bambini a Wettingen (AG), trovava sempre il modo di rallegrare la vita dei residenti. Il Natale, ad esempio, era sempre una festa gioiosa, durante la quale le Suore accendevano candele lungo un percorso che portava ai regali. Una sessantina di bambini vi conduceva una vita ben regolamentata, in cui alla formazione scolastica si aggiungevano alcune faccende. Rimaneva sempre del tempo per sé stessi: Beni Freudiger, per esempio, aveva il suo piccolo orto dove coltivava ortaggi.

Pasqua 1965: le Suore preparavano dei «cestini pasquali» per i bambini che dovevano rimanere in istituto durante le vacanze. Fotografia: collezione privata.
Alla fine della sua scuola, la Suora Superiora gli trovò un buon apprendistato di commercio. Dopo un soggiorno in Inghilterra, Beni Freudiger fece una domanda di assunzione presso una fiduciaria e in seguito si formò come contabile. Ora è padre di tre figli adulti. Nonostante le buone cure delle Suore, non ha mai conosciuto la vita di famiglia e questo aspetto cominciò a mancargli quando divenne padre.

Fotografo: Mario Delfino
Da quando ha divorziato, Beni Freudiger ha viaggiato molto in tutto il mondo. È rimasto in contatto con una delle Suore di Menzigen, che vive nella casa madre dell'ordine. Vedendo che i media riportavano principalmente casi di abusi avvenuti negli istituti per bambini, ha voluto rendere pubblica la sua storia. Vuole far sapere che in questi stabilimenti non ci sono state solo esperienze difficili. E che già all’epoca era possibile prendersi cura correttamente dei bambini in affidamento.
Sabine Weber*
«Il mio libro per titolo avrebbe: amare senza essere amata.»
Sabine Weber venne al mondo a Graz, in Austria, nel 1954. A dieci anni si trasferì in Svizzera con la sua famiglia. Quando i genitori divorziarono, lei e suo fratello rimasero a vivere con la madre.

Fotografia di classe della prima elementare. Sabine Weber* è di fronte alla sua insegnante. Collezione privata.
Sabine Weber aveva quindici anni quando suo padre, dopo una visita, la denunciò all'ufficio dei minori accusandola di «trastullarsi» con uomini. Questa calunnia ebbe gravi conseguenze: fu internata su decisione amministrativa a Hirslanden (ZH). Fuggì alla prima occasione per raggiungere i nonni in Austria.

Fotografo: Mario Delfino
Poco dopo la fuga, a Graz incontrò un giovane che anche lui stava carcando di superare un passato di collocamenti in istituti. La giovane donna rimase incinta. Quando entrò in ospedale, firmò tutti i documenti che le erano stati sottoposti. Poco prima di partorire, un medico la avvertì: questi documenti prevedevano che i bambini delle donne non sposate sarebbero stati dati in adozione. Il medico l’aiutò a evitare tale situazione.
In seguito, Sabine Weber tornò in Svizzera. Si sposò, ma la sua unione non durò a lungo. Sabine Weber è ora in pensione. Sebbene soffra di una malattia progressiva degli occhi, rimane attiva, si gode la vita con il suo attuale compagno e cerca di essere il più indipendente possibile.
*Il nome è stato sostituito da uno pseudonimo.

Sergio Devecchi
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«Ho taciuto per molto tempo per vergogna. Fintanto che poi mi sono deciso di elaborare quanto successo.»

Fotografo: Mario Delfino
Dieci giorni dopo la sua nascita, nel 1947, Sergio Devecchi venne collocato in un istituto per bambini gestito da evangelici, a Pura (in Ticino). Vi trascorse un'infanzia fatta di preghiere, lavoro e obbedienza. Dopo 12 anni, fu trasferito senza preavviso in un altro istituto. Fuggì più volte, cercando di tornare a Pura a piedi. Il suo tutore per finire lo collocò nell'istituto «Dio aiuta» a Zizers, nei Grigioni. Poco dopo la sua Cresima, fu riportato in Ticino da uno zio che non conosceva, anche in questo caso senza nemmeno essere stato informato in anticipo.
Dopo aver terminato la scuola dell’obbligo, Sergio Devecchi iniziò un apprendistato di commercio. A diciassette anni, viveva in una stanza a Lugano senza alcun sostegno da parte delle autorità. Ha conosciuto la solitudine e soffriva spesso la fame. Dei privati e un'associazione di «Uomini cristiani» (YMCA) gli apportarono quindi un aiuto decisivo. Nel 1969 cominciò degli studi di educatore specializzato a Basilea. In seguito, lavorò come educatore e direttore di foyer in diversi istituti del Canton Ticino e della Svizzera tedesca; più tardi presiederà diverse organizzazioni, tra cui «Integras», l'Associazione professionale svizzera per l’educazione.
Sergio Devecchi, che si vergognava del suo passato, ha aspettato di andare in pensione per rivelare pubblicamente che lui stesso è cresciuto in un istituto. Attualmente fornisce consigli nel suo precedente campo professionale e si impegna affinché la società elabori un lavoro di memoria sui collocamenti forzati e sulle misure coercitive a scopo assistenziale.

Sergio Devecchi ha scritto sul suo vissuto nel libro ampiamente acclamato «L’eterno ragazzo» (Kimerik 2014).

Karin Gurtner
Su questa tematica si esprime Karin Gurtner:Karin Gurtner
«Ho evitato il più possibile di ricorrere alla violenza per risolvere i conflitti.»

Fotografo: Mario Delfino
Karin Gurtner venne al mondo a Basilea nel 1959. Sua madre era nubile e molto giovane. Le autorità di tutela decisero di collocarla dai nonni, fino al 1965. Le volevano bene e le diedero delle buone basi per la vita. La bambina con il nonno trascorreva molte ore nel bosco, dove imparò ad osservare la natura e a rispettare ogni forma di vita.
Nel 1963 sua madre si sposò e da un giorno all'altro la portò via dai nonni. Karin Gurtner avrebbe dato tutto per poter restare con loro, dato che durante le visite la madre si era sempre dimostrata fredda e distante. A undici anni fu collocata in un istituto per ragazze a Steig (SH). Nel 1975 subì cinque collocamenti nel giro di pochi mesi, tra cui un soggiorno in carcere e infine uno nella clinica psichiatrica di Breitenau (SH), perché le autorità non sapevano più dove collocarla.
Alla fine del 1975, le fu ordinato un internamento amministrativo presso l'istituto educativo «Lärchenheim» a Lutzenberg (AR). In questo istituto le relazioni tra le giovani ragazze erano fortemente gerarchizzate, ma Karin Gurtner riuscì a trovare una buona posizione rispetto alle altre. Non ne beneficiò personalmente, ma riuscì ad aiutare altre ragazze.
Karin Gurtner non si lasciò rinchiudere nella tradizionale divisione dei ruoli tra uomini e donne; desiderava forgiare la propria via e quindi seguì una formazione di base in progettazione elettronica. Successivamente, dopo una formazione come estetista e truccatrice, aprì il suo salone. Sua madre, che continuava ad avercela con lei, cercò di dissuadere i suoi potenziali clienti. Questo conflitto familiare proseguì all’occasione dell’eredità di sua nonna: sua madre l’accusò di averla sperperata, mentre non era vero poiché in realtà Karin non ne aveva mai potuto usufruire.
Karin Gurtner è una combattente. Trae la sua forza dall'Albero del Mondo Yggdrasil e da un detto delle divinità nordiche: «Alzarsi e continuare a lottare!»

1979

Kurt Bönzli
Su questa tematica si esprime Kurt Bönzli:Kurt Bönzli
«Per me è importante che ora ho ristabilito i rapporti con mio fratello.»

Fotografo: Mario Delfino
Kurt Bönzli venne al mondo a Berna nel 1949. Quando suo padre morì, la madre perse la custodia dei suoi quattro figli e furono dati in affidamento. Kurt Bönzli fu mandato a Beatenberg (BE) con una delle sorelle, in seguito fu trasferito per un po’ di tempo in un istituto femminile dove risiedevano le sue sorelle. Dal 1957 al 1966 visse con il fratello maggiore, Peter Bönzli, al «Brünnen» (un riformatorio maschile a Berna-Bümpliz).
In questo istituto, il lavoro occupava una posizione importante a discapito della scuola. I ragazzi venivano educati a obbedire a bacchetta, venivano picchiati e non potevano decidere per sé stessi. Kurt Bönzli a volte fuggiva nel suo mondo per brevi istanti, costruendosi un nascondiglio con una coperta sotto un banco. Le sue sorelle vivevano nelle vicinanze, in un istituto femminile, e a volte riusciva a salutarle oltre la recinzione.
Al «Brünnen» era consuetudine che, dopo il perseguimento della scuola obbligatoria, ai giovani venisse assegnato un lavoro senza chiedergli un’opinione. Kurt Bönzli però desiderava scegliere la sua formazione. Riuscì quindi a seguire un apprendistato come cuoco nella città di Berna.
Quando la sua tutela fu revocata, all'età di 20 anni, Kurt Bönzli approfittò della sua libertà ritrovata per viaggiare. Visto che i cuochi erano molto richiesti, poteva spostarsi da un luogo all'altro senza alcun problema. Dal momento che non voleva essere responsabile di altre persone, non volle neanche avere figli.
Durante tutti quegli anni, ebbe pochissimi contatti con i suoi fratelli e sorelle, fino a quando un infarto lo portò a decidere di cambiare vita. Ridusse il consumo di alcol e si riavvicinò a suo fratello maggiore, Peter Bönzli. I due ora si vedono regolarmente e per lui questa relazione è importante.

Kurt (a sinistra) e Peter Bönzli, 2021.

Rita Brunner
Su questa tematica si esprime Rita Brunner:Rita Brunner
«La vita è sempre una questione di equilibrio: non si può ricevere senza dare.» (Yehudi Menuhin)

Fotografo: Mario Delfino
Rita Brunner venne al mondo a Zurigo nel 1966. Non ha mai conosciuto veramente suo padre e sua madre era sopraffatta dalle due figlie. Rita Brunner aveva sei settimane quando fu collocata in un istituto gestito da Suore a Zurigo. Visse poi con la sorella maggiore in un istituto privato a Ossingen (ZH). In seguito, questo istituto venne chiuso, perché i membri della direzione erano sospettati di appartenere a una setta.
Le due sorelle furono portate via per un’«escursione», mentre in realtà venivano trasferite a Lucerna al «Kinderdörfli Rathausen» («Villaggio per bambini»). Rita Brunner aveva tre anni e mezzo. In questo istituto, dove trascorrerà dodici anni, ebbe esperienze buone e meno buone, a seconda degli educatori che si prendevano cura di lei. Fu sottoposta a punizioni collettive e anche a violenze fisiche e psicologiche. Di sera doveva spesso resistere alla fame, alla paura e alla solitudine.
All'età di 15 anni, terminata la scuola dell'obbligo, Rita Brunner ha potuto lasciare l'istituto e trovò un lavoro come stalliera. Aveva molte difficoltà ad abituarsi alla sua nuova vita indipendente e sovente aveva pensieri suicidi. In quel periodo, incontrò per la prima volta nella sua vita una persona che si interessava a lei, che voleva sapere chi fosse, quel che aveva vissuto; qualcuno che l’ascoltava e di cui poteva fidarsi. Da ventenne, Rita Brunner prese la decisione del tutto consapevole di vivere.
Rita Brunner ha incontrato persone che la sostengono e la incoraggiano, sia professionalmente che personalmente. Se ad oggi è sposata e madre di un figlio adulto, mettere su famiglia non è stato affatto ovvio per lei. All'inizio non voleva avere figli, per non correre il rischio di fargli vivere una vita come la sua. Di suo marito, dice che è la sua roccia nella tempesta.
Rita Brunner è ora Consigliera comunale. In qualità di funzionario eletto, sta cercando di apportare piccoli miglioramenti concreti. In particolare, si impegna a garantire che l'integrità delle persone vulnerabili sia rispettata e s’interessa molto alla situazione nelle case di riposo e nelle case di cura.

Bruno Frick
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«Le relazioni stabili sono essenziali per lo sviluppo dei bambini e dei giovani.»

Fotografo: Mario Delfino
Bruno Frick venne al mondo nel 1957. È il maggiore di tre fratelli cresciuti con i genitori sul lago di Zurigo. Durante il suo lavoro di capo scout incontrò per la prima volta i residenti dell'orfanotrofio di Wädenswil. Quando questo istituto chiuse e i giovani dovevano essere ricollocati, una ragazza di 14 anni gli disse che non voleva più vivere in istituto. Chiese quindi a Bruno Frick se avesse potuto andar a vivere con lui e i suoi coinquilini. Le autorità diedero il consenso e lo nominarono padre d’affidamento, poi tutore.
Nel 1978 Bruno Frick iniziò una formazione come educatore specializzato. Nell'ambito del suo lavoro di diploma, intervistò molti ex residenti dell'orfanotrofio di Wädenswil (ZH).
Questo lavoro e i suoi studi gli hanno fatto vedere la società in modo più critico. In particolare, ne conclude che le relazioni stabili sono essenziali per lo sviluppo dei bambini e dei giovani. Questa constatazione lo accompagnerà per tutta la vita: come responsabile pedagogico presso il foyer «Jugendsiedlung Utenberg» (LU), come padre affidatario e poi anche come padre dei propri figli.
Dagli anni '90 Bruno Frick accompagna le persone nel processo di integrazione sociale, in particolare i giovani adulti quando lasciano il foyer nel quale lavorava. Nello stesso tempo, lui e sua moglie sono diventate famiglie affidatarie socio-pedagogiche; con loro hanno vissuto sei bambini di età compresa tra i quattro e i diciott’anni.
Bruno Frick, membro del Consiglio di fondazione della Fondazione Guido Fluri, dal 2014 si impegna a favore delle persone oggetto di collocamenti forzati e di misure coercitive a scopo assistenziale e milita affinché la società instauri un ampio dibattito su questo tema.

Christina Tomczyk
Su questa tematica si esprime Christina Tomczyk:Christina Tomczyk
«Mio padre è il mio eroe. È un modello per me.»

Fotografo: Mario Delfino
Christina Tomczyk venne al mondo a Basilea nel 1974. Dopo la separazione dei suoi genitori, inizialmente visse con la madre e da adolescente si trasferì dal padre, Peter Bönzli. Padre e figlia sono da sempre molto uniti e lui la supporta nei suoi obiettivi personali e professionali. Nel 1993 Christina Tomczyk raggiunse la finale di Miss Svizzera. Un anno dopo, partecipò per la prima volta al campionato svizzero di kart.
Christina è sposata con Martin Tomczyk. Alla nascita dei suoi due figli, ha iniziato a porre domande a suo padre. Tutto quello che sapeva della sua infanzia era che era cresciuto in un istituto con sua sorella, perché suo padre era morto giovane. Fino a quel momento, Peter Bönzli aveva detto molto poco su quel periodo. La famiglia ha quindi iniziato a parlarne sempre di più, soprattutto perché il tema dei collocamenti forzati è entrato a far parte del dibattito pubblico.
Qualche anno fa, Christina Tomczyk ha visitato – con suo padre, suo zio e sua zia – gli istituti bernesi dove furono collocati da bambini. Ha poi proposto a suo padre di parlare pubblicamente del suo vissuto. In particolare, per dimostrare di essere riuscito, nonostante un'infanzia molto difficile, a farsi una vita e a trovare un posto nella società. E che non ha trasmesso alla generazione successiva la sua esperienza di abbandono, di violenza, di una scolarizzazione scadente e di mancanza di affetto.
Heidi Lienberger
«Ancora oggi, sentiamo quotidianamente le conseguenze della sua infanzia.»

Fotografo: Mario Delfino
Heidi Lienberger venne al mondo a Liestal (BL) nel 1958. La più giovane di cinque figli, trascorse un'infanzia spensierata. Si confrontò con il mondo esterno solo quando lasciò casa, all'età di 18 anni. Trovò quindi la sua strada grazie al primo marito. Dopo aver svolto diversi lavori, cominciò a esercitare quale cameriera. Era molto creativa e a volte vendeva le sue opere. Il suo attuale compagno, Andreas Jost, l’ha conosciuto 21 anni fa ed è molto diretto. Questa franchezza non piace a tutti, ma è proprio quello che ama di lui, perlomeno la maggior parte delle volte. Lei è piuttosto introversa.
Andreas Jost le ha raccontato dei maltrattamenti e delle ingiustizie subite durante l'infanzia e la giovinezza. Le ha messo tutto per iscritto e ne hanno parlato molto. Heidi Lienberger non riesce a capire come degli adulti possano comportarsi in questo modo con giovani in affidamento.
Lei e il suo partner ne sentono ancora le conseguenze quotidianamente. Una bronchite non curata, contratta durante l’infanzia, causa ad Andreas Jost degli eccessi di tosse molto dolorosi; inoltre, incubi e disturbi del sonno perturbano le sue notti. Ultimamente ha iniziato ad avere crisi epilettiche, una preoccupazione crescente per Heidi Lienberger. Senza contare che a causa del loro budget limitato faticano a condurre una vita come desidererebbero, mantenendo dei contatti sociali. Di recente la loro relazione stava per terminare proprio perché queste difficoltà sono molto pesanti.
Heidi Lienberger sostiene il suo partner nel lavoro di memoria sui collocamenti forzati e sulle misure coercitive a scopo assistenziale. Ammira la tenacia e l'energia che dimostra in questo impegno.
Andreas Jost
«La sete di giustizia, è quanto mi motiva. E il fatto che non la otteniamo mi fa arrabbiare.»

Fotografo: Mario Delfino
Andreas Jost venne al mondo a Basilea nel 1961. Quando i suoi genitori divorziarono, sua madre ottenne il diritto di custodia e ne subì violenze e umiliazioni. Nel momento in cui le autorità di tutela furono informate sulla situazione, lo collocarono in un istituto, poi in due famiglie affidatarie e infine in molti altri istituti. Fu addirittura rinchiuso in un carcere minorile, sebbene non avesse fatto nulla di male.
In quel periodo Andreas Jost non aveva nessuno che lo trattasse da pari, che lo sostenesse, che gli insegnasse l'empatia. Col passare del tempo, iniziò a ribellarsi e a non temere più i conflitti aperti con il suo tutore, e poi con la sua tutrice.
A 15 anni, Andreas Jost era abbandonato a sé stesso. Partì per Berna, dove per un po' rimase senza dimora e visse di lavori occasionali. Non essendo consapevole dell'importanza di una formazione professionale, non ne seguì alcuna. La sua scarsa istruzione (a causa dei suoi continui spostamenti in centri scolastici) non gli permetterà di trovare un percorso professionale dove poter mettere a frutto le sue capacità. Soffriva sempre di più anche di problemi psichici: si sentiva sconvolto dagli abusi subiti durante l'infanzia e dai traumi che ne derivavano.
A vent’anni, non era più in grado di lavorare e richiese una rendita d'invalidità. Il fatto di dover vivere in permanenza con il minimo indispensabile l’ha limitato molto, soprattutto nei suoi contatti sociali. Ancora oggi, soffre di incubi ricorrenti e sente le conseguenze dei maltrattamenti fisici subiti durante i suoi collocamenti.
Andreas Jost è stato membro della «Tavola rotonda istituita con l’obiettivo di far luce sulle misure coercitive a scopo assistenziale e sui collocamenti extrafamiliari». Non ha paura di dire la verità, anche quando è scomoda. In particolare, si impegna a migliorare la situazione delle persone oggetto di collocamenti attraverso una pensione vitalizia, per esempio.

Mario Delfino
Su questa tematica si esprime Mario Delfino:Mario Delfino
«Sto bene, se solo non ci fossero state ste storie.»

Fotografo: Christian Witschi
Mario Delfino venne al mondo in Italia nel 1955. Trascorse i primi anni in un orfanotrofio a Bergamo, attorniato dall'affetto di una delle infermiere. All'età di cinque anni, fu adottato da una coppia svizzera. I suoi genitori adottivi lo portarono a vivere a Thalwil (ZH) dove lui ha sofferto molto perché lo maltrattavano, lo rinchiudevano e lo picchiavano spesso.
La madre adottiva per finire lo portò in un istituto per bambini gestito da Suore, ad Altdorf (Uri). Per lui fu l'inizio di un periodo che descrive come fortemente segnato dalla religione, ma senza violenza. Dopo quattro anni, le Suore di Menzingen lo rimandarono dai suoi genitori adottivi.
A 12 anni Mario Delfino rubò una cassa di soldi insieme a due compagni di scuola. Vi trovarono 40.000 franchi, che rispedirono per posta al loro proprietario. Pochi giorni dopo, però, Mario Delfino fu arrestato nel cortile della scuola e portato via in manette. Trascorse i successivi quattro anni in un riformatorio a Bad Knutwil (LU). L’istituto era gestito dai Fratelli religiosi tedeschi, i quali sottoponevano i giovani in affidamento ad atti di violenza fisica e sessuale estremamente gravi – e Mario Delfino non ne fu un’eccezione.
Nel 1972 le autorità misero fine al suo collocamento presso il riformatorio di Bad Knutwil. Aveva solo 16 anni, ma la madre adottiva non lo voleva più in casa e quindi, quando si presentò, chiamò la polizia. Fu costretto a languire in una cella del carcere di Horgen (ZH) per tre settimane, fintanto che il giudice minorile si prendesse il tempo di esaminare il suo caso. Questo giudice, che lo aveva collocato a Bad Knutwil, prese in considerazione l'idea di ordinare un nuovo internamento amministrativo, ma intervenne un assistente sociale.
Per la prima volta nella sua vita, Mario Delfino trovò qualcuno che si prendesse del tempo per lui e che ascoltasse la sua storia. L'assistente sociale lo portò a casa sua e gli trovò un lavoro. In seguito, Mario Delfino si trasferì a Zurigo, dove trovò un punto d'appoggio grazie a Ernst Sieber, il pastore dei senzatetto di Zurigo. Insieme a sua moglie, Katharina Delfino, lavorò per 18 anni come custode in un centro scolastico di Zurigo. È padre di due figli adulti.
Mario Delfino è membro dello staff del progetto «Volti della memoria».

Nel 2019, durante un'udienza privata con Papa Francesco, Mario Delfino gli disse che stava seguendo da vicino il modo in cui la Chiesa cattolica fa chiarezza in merito agli abusi sessuali perpetrati nel clero.
Eva Kappeler
«Non conosceva né fondue né raclette: in istituto non le servivano mai.»

Fotografo: Mario Delfino
Eva Kappeler venne al mondo a Davos nel 1954. È cresciuta in una famiglia amorevole con i suoi sette fratelli e sorelle. Il suo primo marito morì giovane (nel 1987) e lei tirò su i loro tre figli da sola. Per un anno si occupò da sola anche della fattoria di famiglia. Quando contrattò una setticemia, le autorità tutorie volevano dare i suoi figli in affidamento. Il suo medico di famiglia fece in maniera che si riprendesse con quattro settimane di riposo. Fu così che la famiglia non venne dispersa.
Eva Kappeler conobbe il suo secondo marito, Alois Kappeler, grazie a un annuncio che lui aveva pubblicato su una rivista «Tierwelt» nel 1994. Seppe a prima vista che erano fatti l'uno per l'altra.
Una volta sposata, la coppia si trasferì a Wiesen, in quello che oggi è il Comune di Davos. Alois Kappeler era in cerca di lavoro e quindi si riferì al Comune. Fu rinviato senza ottenere nessuna risposta alla sua richiesta. Un rappresentante delle autorità, però, il giorno dopo si presentò alla loro porta e gli annunciò che erano stati messi in assistenza. Ci vollero sei anni e l'aiuto di un avvocato per far revocare questa misura. E nel frattempo, Eva Kappeler perse la sua assicurazione sulla vita e tutti i suoi risparmi.
Eva Kappeler conosce la storia di suo marito, ma quando inizia a leggere i vari documenti del suo dossier, deve interrompere costantemente la lettura, perché le lacrime le offuscano la vista.
Ancora oggi sostiene suo marito nel quotidiano e lo aiuta a elaborare il suo vissuto. Sa come calmarlo quando gli assale la rabbia sul suo passato: si mette ad ascoltarlo. Per loro il buon cibo è molto importante, proprio perché Alois Kappeler prima di incontrarla non conosceva questo piacere. Si ritrovano anche nella passione condivisa per la musica e appena possono fanno qualche passo di danza, a volte con i loro nipoti.

Alois Kappeler
Su questa tematica si esprime Alois Kappeler:Alois Kappeler
«Non è stata una bella vita.»

Fotografo: Mario Delfino
Alois Kappeler venne al mondo a Galgenen, nel Canton Svitto, nel 1953. Tredicesimo figlio di quattordici fratelli di genitori jenisch che vivevano in roulotte, aveva due giorni quando le autorità lo portarono via. Fu condotto all'istituto per bambini «Seraphische Liebeswerk» di Soletta e in seguito fu sballottato da un posto all'altro per i successivi 18 anni. Visse in più di venti istituti e famiglie affidatarie, dove fu regolarmente sottoposto a violenze sia fisiche sia sessuali.
Una volta maggiorenne, Alois Kappeler voleva che la sua tutela fosse revocata, ma il suo tutore si oppose. A vent'anni lasciò il lavoro senza preavviso e si nascose per otto anni in un alpeggio nei Grigioni. Il suo tutore trovò le sue tracce solo quando, in seguito a un incidente, dovette scendere dall’alpeggio per farsi curare delle ferite gravi alla testa.
Alois Kappeler fu quindi internato presso la clinica psichiatrica di St-Urban (LU) e poi, quattro anni dopo, fu trasferito alla clinica psichiatrica di Beverin (GR). Cercarono di castrarlo con la forza, perché ritenevano che avesse una libido eccessiva. Opponendosi a questa misura, ferì una guardia, il che lo portò alla detenzione nel carcere di Realta (GR). Il giornalista di «Beobachter», Hans Caprez, lo fece rilasciare e rese pubblica la sua storia.
Nel 1994 Alois Kappeler incontrò sua futura moglie Eva grazie a un annuncio pubblicato sulla rivista «Tierwelt». Divenne il suo principale sostegno e si trasferì con lei a Davos. La coppia si stabilì poi a Wiesen, un paesino nel Comune di Davos. Alois Kappeler contattò i servizi comunali, perché era in cerca di lavoro. Il giorno dopo, un rappresentante delle autorità suonò il campanello per annunciargli che erano stati messi sotto assistenza. Solo sei anni dopo, nel 2004, Alois Kappeler e sua moglie riuscirono a far revocare questa misura col sostegno della giustizia.

MarieLies Birchler
Su questa tematica si esprime MarieLies Birchler:MarieLies Birchler
«A volte le parole mi mancano...»

Fotografo: Mario Delfino
MarieLies Birchler venne al mondo a Zurigo nel 1950, quale prima figlia di cinque fratelli e sorelle. Nel 1951 le autorità collocarono lei e suo fratello minore, Hanspeter, in un orfanotrofio a Einsiedeln (SZ), nel loro Comune d’origine. Entrambi erano malnutriti, malati e trascurati. Per MarieLies Birchler cominciò il martirio di violenza e di paura durato undici anni, sotto il regime delle Suore di Ingenbohl.
MarieLies era una bambina vivace che soffriva di enuresi notturna. Queste due caratteristiche le renderanno la vita particolarmente difficile. Quando bagnava il suo letto, per punirla le Suore la immergevano nell'acqua fredda, la picchiavano selvaggiamente e la rinchiudevano in soffitta per giorni e giorni. La umiliavano davanti agli altri bambini, la ridicolizzavano, la insultavano e la accusavano di essere posseduta dal diavolo.
Una volta cresciuta, Marie-Lies Birchler iniziò a difendersi. Fintanto che, a tredici anni, il suo tutore la portò via dall’istituto. La sua vita migliorò quando fu trasferita a Rebstein (SG), al «Burg». Ma per instaurare un rapporto di fiducia con un adulto, dovette attendere il 1968 con il suo inserimento nell'istituto per adolescenti difficili di «Waldburg», a San Gallo, dove un educatore ben intenzionato si prese cura di lei.
Quando Marie-Lies Birchler ebbe 20 anni, la sua tutela fu revocata. Seguì quindi una formazione come infermiera psichiatrica e in quest’ambito assunse funzioni di alto livello. Nel 1978 suo fratello Hanspeter si suicidò. Fu un colpo molto duro. A quel tempo, parlava molto poco della sua infanzia, fino a quando i suoi numerosi traumi l'hanno sopraffatta e si ammalò. Da quando, ha fatto diversi esaurimenti nervosi. Non potendo più lavorare, ha dovuto richiedere una rendita d'invalidità.
Una volta guarita, MarieLies Birchler cominciò ad aiutare le famiglie con bambini, attività che svolge ancora oggi. Da diversi anni, MarieLies Birchler è impegnata anche nel lavoro di memoria sulle misure coercitive a scopo assistenziale. Lo fa per tutti coloro che non possono parlarne o che non ci sono più per farlo. Fa parte del team del progetto «Volti della Memoria».

Luglio 1978
Michele Delfino
«Da quando so cosa ha passato mio padre, capisco molte cose.»

Fotografo: Mario Delfino
Michele Delfino venne al mondo a Zurigo nel 1993. È cresciuto coi suoi genitori, Katharina e Mario Delfino, che erano custodi: prima in una casa parrocchiale, poi in un centro scolastico. Siccome i genitori vivevano in un appartamento di funzione, nei primi anni Michele trascorse molto tempo con loro. Gli svariati cortili e sale per lui erano altrettanti parchi giochi. Michele Delfino ha molto a cuore la sua famiglia. I suoi genitori hanno fatto in maniera che nella vita avesse basi solide.
Cerca il più possibile di utilizzare al meglio questo bagaglio, soprattutto perché suo padre non è stato così fortunato. Ha sempre saputo che suo padre non era cresciuto nella sua famiglia, perché spesso gli raccontava aneddoti, compresi i suoi tentativi di fuga. Poi, una volta cresciuto, i genitori lo hanno portato a visitare l'istituto per l'infanzia di Altdorf (UR), il riformatorio «Bad Knutwil» (LU) e il luogo in cui vivevano i genitori adottivi del padre a Thalwil (ZH).
All'epoca Michele Delfino sospettava che suo padre non fosse ancora pronto a parlare di tutto quello che aveva vissuto. Quando, solo pochi anni fa, sono riusciti a parlare delle violenze sessuali subite da suo padre, capì meglio alcune sue reazioni avute in passato.
Il trauma subito provoca degli effetti collaterali, che si ripercuotono anche sulla generazione successiva. Questo è uno dei motivi per cui Michele Delfino ritiene importante parlarne.
Katharina Delfino
«Quando mio marito ha potuto parlare di tutto, si è sentito sereno.»

Fotografo: Mario Delfino
Katharina Delfino venne al mondo a Zurigo nel 1964. Trascorse un'infanzia spensierata con i suoi due fratelli maggiori. In tenera età iniziò a dare una mano nel salone dei suoi genitori e decise di diventare parrucchiera. La formazione da parrucchiera era difficile, le giornate lavorative molto lunghe, ma scoprì un ambiente professionale dinamico. Acquisì esperienza e poté partecipare a spettacoli internazionali; ebbe anche l'opportunità di viaggiare per lavoro, in particolare a New York e nelle Filippine.
Dopo qualche anno, sentì il bisogno di cambiare ambito. Fu assunta in un bar nel centro storico di Zurigo, dove incontrò suo futuro marito, Mario Delfino. Quando rimase incinta, andarono a vivere insieme e si sposarono. Fin dall'inizio della loro relazione, il marito le parlò della sua infanzia trascorsa con i genitori adottivi e negli istituti, ma lei sentiva che non era ancora pronto a raccontarle tutto. Fu solo nel 2019 che Mario Delfino le rivelò di essere stato oggetto di violenze sessuali da parte di religiosi cattolici.
Katharina Delfino ha lavorato con suo marito per molti anni. Insieme sono stati custodi di una casa parrocchiale e poi di una scuola nella città di Zurigo. Per lei è molto importante sia parlare dei conflitti e delle differenze, sia cercare delle soluzioni insieme. La loro famiglia è ciò che conta di più: tutti si sostengono a vicenda e sono presenti gli uni per gli altri.

Christian Tschannen
Su questa tematica si esprime Christian Tschannen:Christian Tschannen
«Ci dicevano: siete dei meno di niente, dei buoni a nulla, non sarete mai nessuno.»

Fotografo: Mario Delfino
Christian Tschannen venne al mondo nel Canton Soletta nel 1971. Quando i suoi genitori divorziarono, i servizi sociali intervennero e sua madre accettò un collocamento temporaneo dei suoi figli. Christian e suo fratello maggiore, Benjamin, si ritrovarono in una fattoria dell'Emmental a Schangnau (BE). Non dovevano solo lavorare sodo e dormire in una stanza mal riscaldata, ma venivano anche picchiati e abusati sessualmente. A soli nove anni, Christian ebbe i primi sintomi di una malattia reumatica che lo avrebbe fatto sempre più soffrire.
Nel 1986, all'età di 15 anni, Christian Tschannen venne trasferito allo «Jugenddorf» di Bad Knutwil (LU), un riformatorio in cui fu costretto a fare un apprendistato come falegname, che non portò a termine. Anche nel «Jugenddorf» fu oggetto di violenze. Nell'ultimo anno della sua permanenza in questo istituto, gli furono persino negate cure mediche e farmaci.
Nel 1989 l’hanno lasciato uscire e ha cominciato un apprendistato come verniciatore di automobili, ma la sua malattia e altri problemi fisici gli impedirono di svolgere questa professione. Cercando di riqualificarsi professionalmente si rivolse all'AI, ma quest'ultima non accettò la sua richiesta di poter fare un corso di formazione compatibile con il suo stato di salute e le sue capacità.
All'età di 24 anni, Christian Tschannen cambiò completamente il suo percorso professionale e andò a studiare all'Alta scuola d’Arte di Lucerna. Così svolse l’«artista in residenza» presso la Fondazione Pro Helvetia a Cape Town (Sudafrica) ed espose le sue opere in Svizzera e all'estero.
Il suo lavoro artistico cambiò radicalmente nel 2014, con la pubblicazione dei primi documenti ufficiali sui collocamenti forzati. Da quando, si occupa principalmente di temi legati all'attualità. Christian Tschannen è impegnato nel lavoro di elaborazione della memoria sulle misure coercitive a scopo assistenziale e desidera puntare i riflettori sui problemi attuali nel campo dell'assistenza ai bambini e ai giovani.

Dalla serie «Solothurner Tatortbilder» («Soletta, scena del crimine»), 2019-2022. Servizi comunali di Soletta. Cerotto su cotone primerizzato, disegno a pennarello acrilico, nero e grigio. 110 cm x 95 cm

Yvonne Barth
Su questa tematica si esprime Yvonne Barth:Yvonne Barth
«Ce l’ho fatta a partire da nulla.»

Fotografo: Mario Delfino
Yvonne Barth venne al mondo a Basilea nel 1953. Sua madre continuava a traslocare, sballottando lei e sua sorella maggiore da un posto all'altro, destabilizzandola.
All'età di tre anni, Yvonne Barth passò a più riprese diversi mesi in un istituto a Basilea, il «Vogelsang». Poi nel 1958 fu collocata in una famiglia affidataria a Davos Wiesen (GR). Siccome la sorella maggiore le mancava molto, chiese a sua madre di essere trasferita nel suo stesso istituto. Il suo desiderio fu esaudito nel 1961.
Yvonne Barth visse al «Röserental» di Liestal (BL) fino all'età di dodici anni. Gli altri bambini la prendevano spesso in giro, perché era strabica e la sua andatura era goffa a causa delle escrescenze sui piedi. Gli adulti non la incoraggiavano nel suo apprendimento: non andavano oltre al suo aspetto fisico poco vantaggioso e non la credevano capace di imparare molto. In quel periodo, gli animali hanno avuto un ruolo importante. È con loro, e non con le persone, che trovava calore e conforto.
Da adulta, Yvonne Barth non ha mai smesso di formarsi. Divenne massaggiatrice professionale e aprì il suo studio. Ha sempre tratto molta forza ed energia dalla musica. Fin da bambina era in grado di imparare a suonare strumenti musicali molto rapidamente. Ancora oggi compone canzoni.
Yvonne Barth ha eseguito in pubblico per la prima volta la sua canzone «Fremdplatziert aus der Sicht jener Kinder» («I collocamenti forzati visti dai bambini») in occasione di una cerimonia in memoria delle persone oggetto di misure coercitive a scopo assistenziale, tenutasi a Basilea nell'autunno 2021. Yvonne Barth desidera partecipare al lavoro sulla memoria, soprattutto per tutti coloro che non ci sono più per farlo.

Registrazioni in studio della canzone «Fremdplatziert aus der Sicht jener Kinder» («I collocamenti forzati visti dai bambini»), 22 agosto 2022.

Jasmin Schweizer*
Su questa tematica si esprime Jasmin Schweizer*:Jasmin Schweizer*
«Ogni bambino ha diritto all’istruzione.»

Fotografo: Mario Delfino
Jasmin Schweizer venne al mondo a Zurigo nel 1957. Il suo arrivo rese felici i suoi genitori e tutta la famiglia. Tuttavia, la piccola era spesso malata; sviluppava infezioni che la portavano ad essere frequentemente ricoverata in ospedale. Rimase quindi indietro in materie scolastiche importanti e aveva sempre più difficoltà a stare al passo dei compagni di classe. All'età di 14 anni fu inviata per la prima volta in un istituto, in Svizzera romanda. Un anno dopo, fu collocata in uno stabilimento antroposofico di «Montolieux», sulle alture di Montreux, che ospitava anche figli di genitori influenti. Fuggì perché fu vittima di un tentativo di violenza sessuale. Seguì un altro collocamento, in un istituto riformato per giovani ragazze, a Lucens.

Jasmin Schweizer* in soggiorno con sua madre, verso il 1959. Fotografia: collezione privata
A causa della sua scolarizzazione lacunare, Jasmin Schweizer faticò a ottenere un posto di apprendistato. Nel 1975 iniziò un apprendistato come assistente infermiera presso l'ospedale cantonale di Münsterlingen (TG).
Le assistenti infermiere in formazione erano ospitate nella casa madre di una congregazione religiosa, molto vicina alla clinica psichiatrica di Münsterlingen. Jasmin Schweizer fu costretta a prendere delle pillole che le causavano forti effetti collaterali. Il primario dell'ospedale, Roland Kuhn, fece testare su larga scala dei farmaci non autorizzati e senza il consenso di nessuno – nonostante i principi etici in ambito della ricerca medica sugli esseri umani fossero in vigore già all’epoca. Quando Jasmin Schweizer si rifiutò di continuare a prendere questi medicamenti, il primario minacciò di ricoverarla con la forza. Suo padre venne poi a prenderla.
Da allora, molti problemi di salute le hanno impedito di lavorare. Jasmin Schweizer, che tra le altre cose soffre di endometriosi, ha creato un gruppo di auto-aiuto per sostenere altre persone affette dalla malattia. Si è formata da autodidatta e ha trovato il modo di convivere con il suo passato, anche se la sua vita quotidiana rimane una lotta.
*Il nome è stato sostituito con uno pseudonimo.

Annemarie Iten-Kälin
Su questa tematica si esprime Annemarie Iten-Kälin:Annemarie Iten-Kälin
«È ora di far chiarezza anche sull'orfanotrofio di Einsiedeln.»

Fotografo: Mario Delfino
Annemarie Iten-Kälin venne al mondo a Willerzell (SZ) nel 1956. Ottava figlia della famiglia, tra i sette e gli otto anni perse entrambi i genitori in rapida successione. Sua madre morì di una grave malattia e suo padre si suicidò sei mesi dopo. Fratelli e sorelle vennero quindi separati: i maggiori furono assunti come impiegati o collocati in famiglie come manodopera a basso costo. Quanto alle quattro più giovani, furono portate all'orfanotrofio di Einsiedeln.
Alla fine degli anni '60, la gestione cambiò e fu nominato un direttore interno. Tuttavia, la speranza di vedere il loro luogo di vita migliorarsi durò a breve. I bambini avevano sicuramente più libertà e dei giocattoli a loro disposizione, ma il direttore le puniva anche lui in modo arbitrario e violento. Le aggrediva pure sessualmente, reati per i quali non fu mai perseguito in giustizia.
Quando le autorità furono informate dei fatti con una lettera di Annemarie Iten-Kälin, si apprestarono ad istituire un controllo. La coppia che gestiva l'orfanotrofio si dimise, accusando lei e la sorella di essere responsabili della loro partenza.
Successivamente, Annemarie Iten-Kälin, nell'ambito della sua formazione come educatrice della prima infanzia, svolse un tirocinio presso l'istituto per bambini «Klösterli» di Wettingen (AG). È così scoprì che era del tutto possibile prendersi cura dei bambini in modo premuroso: esisteva quindi un modo per fare diversamente, anche all'epoca.
Durante la sua formazione a Menzingen, incontrò l'uomo che sarebbe diventato suo marito. In seguito, tornò a Einsiedeln con lui e misero su famiglia. Quando sua figlia si ammalò, la accompagnò fino all'ultimo respiro, con il marito e il figlio Michael. Ha scritto un libro sulla vita e la morte di sua figlia: «Stefanie, ein Engel auf Erden» («Stefanie, un angelo sulla Madre Terra»).

Pubblicato nel 2023.
Adesso il suo secondo libro è finito. Tratta la sua stessa storia ripercorrendo un destino vissuto da tanti altri bambini in affidamento. Annemarie Iten-Kälin lotta ancora tenacemente affinché giustizia sia fatta. In particolare, ha richiesto che venisse svolto uno studio approfondito sulla storia dell'orfanotrofio di Einsiedeln. Le autorità politiche hanno approvato questa richiesta nell'estate del 2022.

Uschi Waser
Su questa tematica si esprime Uschi Waser:Uschi Waser
«Stavo bene, fino al giorno in cui ho letto il mio dossier.»

Fotografo: Mario Delfino
Uschi Waser venne al mondo nel Canton Zurigo nel 1952. Al momento della sua nascita, sua madre non era sposata. A causa delle sue origini jenisch, fu messa sotto tutela e collocata in istituti. Durante i primi tredici anni della sua vita, visse in 26 luoghi diversi. Dopo aver subito per anni abusi sessuali da parte del patrigno, venne violentata dallo zio la notte del suo 14° compleanno, il che la portò ad essere internata su decisione amministrativa nell’istituto rieducativo cattolico «Zum Guten Hirten» di Altstätten, nel Canton San Gallo.
Una volta revocato il suo internamento, Uschi Waser mise su famiglia. In seguito, divorziò e tirò su le sue figlie da sola. Consultando gli archivi del suo Comune, apprese che durante il processo allo zio e al patrigno il giudice prese in considerazione solo gli elementi a suo sfavore. La scoperta di questa ingiustizia sconvolse la sua vita.

L'intervento di Uschi Waser nel 2014 alla «Tavola Rotonda istituita con l'obiettivo di far luce sulle misure coercitive a scopo assistenziale e sui collocamenti extrafamiliari antecedenti al 1981» (traduzione: Associazione «Volti della memoria»). Processi per abusi sessuali sotto inchiesta.
Molte delle persone che hanno subito un internamento amministrativo non hanno sofferto solo a causa delle misure coercitive adottate nei loro confronti. Sovente sono state anche abusate sessualmente e alcuni dei loro aggressori sono stati perseguiti in giustizia. Tuttavia, ora sappiamo che in molti casi la giustizia penale non ha preso la parte delle persone che hanno subito tali violenze: non ha fatto il suo lavoro e ha lasciato impuniti gli autori di abusi sessuali. È quindi necessario far luce non solo sulle pratiche delle autorità civili responsabili dell'assistenza, ma anche su quelle del sistema giudiziario penale dell'epoca.
Anche le persone che hanno subito abusi sessuali si aspettano chiarimenti e risposte in questo ambito. Alcuni studi isolati, come una tesi di bachelor del 2002 o una tesi di dottorato del 2016, non sono sufficienti: è ora di studiare gli atti della giustizia penale per realizzare uno studio su questi reati che sia meticoloso, completo e mirato.
Uschi Waser
Presidente della Fondazione Naschet Jenische
uschi.waser@bluewin.ch
www.naschet-jenische.ch
Uschi Waser è impegnata da molti anni nell’elaborazione di un lavoro di memoria sui collocamenti forzati e sulle misure coercitive a scopo assistenziale, nonché sul ruolo della giustizia in questo contesto. Alla «Tavola Rotonda istituita con l'obiettivo di far luce sulle misure coercitive a scopo assistenziale e sui collocamenti extrafamiliari antecedenti al 1981» (2013 - 2018), ha rappresentato le persone colpite dall'Opera assistenziale «Bambini della strada» messa in atto da Pro Juventute. Dagli anni '90, è presidente della Fondazione «Naschet Jenische». Nel 2022 le venne assegnato il Premio Somazzi, che ogni anno premia una o più donne per l’impegno a favore dei diritti delle donne, dell'istruzione e della pace.

Afra Flepp
Su questa tematica si esprime Afra Flepp:Afra Flepp
«Quando viene dal cuore, puoi fare molto con quasi niente.»

Fotografo: Mario Delfino
Afra Flepp venne al mondo a Zurigo nel 1947. Durante la sua infanzia, è stata collocata a più riprese in istituti e famiglie affidatarie. Dapprima visse in Ticino, dove fu sottoposta a un regime altalenante tra ricompense e punizioni. In seguito, dopo un breve soggiorno a casa, dei contadini dell'Oberland zurighese l’accolsero per riscuotere gli assegni dell’affidamento. Dopo che i ragazzi della famiglia la spiarono mentre era in bagno, Afra Flepp fu trasferita altrove, questa volta all’istituto Pestalozzi nella città di Zurigo, a Redlikon-Stäfa. Fu una delle poche residenti che poteva frequentare la scuola pubblica del villaggio e a volte tornava all’istituto con dei dolci nascosti. Alla fine della scuola, fu nuovamente affidata a una famiglia affidataria.
Afra Flepp non aveva ancora terminato il suo apprendistato da grafica che affittò una stanza. Quando ottenne il suo diploma, iniziò a lavorare come indipendente (cosa non molto comune per una donna negli anni '70). Lavorò nel suo studio nella città di Zurigo fino al suo pensionamento e il suo locale divenne rapidamente un luogo d’incontro per i giovani del quartiere. Lo frequentavano volentieri perché vi erano molte cose da scoprire e nulla o quasi era proibito.
Afra Flepp si fece conoscere per la prima volta come artista nel 1975, quando dipinse delle nuvole e un arcobaleno gigante sulla facciata di una casa nella città di Zurigo. Oggi crea opere di precisione utilizzando una tecnica di pittura acrilica a spray.

Endlos 4neu (Senza fine 4nuovo), 2022

Anton Aebischer
Su questa tematica si esprime Anton Aebischer:Anton Aebischer
«Questo sorriso mi ha protetto e mi ha permesso di farmi strada nella vita; nasconde molto bene l'indicibile sofferenza che ho sofferto a causa delle pratiche arbitrarie delle autorità dell'epoca!»

1951 ...
Nato il 21 luglio 1948 ad Aarau.
Comune di origine: Guggisberg (BE)
Ne sono uscito da solo, non devo nulla a nessuno. Sono cittadino di questo Stato, della mia «Patria» (e del suo «paesaggio istituzionale»)! Non ho ricevuto nulla dallo Stato. Tutto quello che ho ottenuto, l'ho guadagnato con il mio lavoro. Anzi, è a causa dello Stato che l’inizio della mia vita è stato così difficile! Sono stato rinchiuso in istituti, mi è stata rubata l’infanzia. Con delle «perizie» calunniose (come all’istituto «Oberziel» di San Gallo) che fanno male ancora oggi. Questi cosiddetti esperti, questi «luminari dell’epoca», hanno eretto una barriera mentale tra me e gli altri, i «normali»!
Ho fatto tutto il servizio militare. Ero un soldato stipendiato, con la funzione di Ufficiale. Quando sono stato esonerato dai miei obblighi militari, ho ricevuto dei «ringraziamenti per i servizi resi». Ho addirittura ancora servito lo Stato facendo servizio nell'esercito come volontario aggiunto, senza paga! Ho certamente avuto diversi lavori, alcuni per lunghi periodi, ma poi mi hanno congedato per motivi economici. Ho colto l'occasione per fare un riscatto facoltativo a tre cifre presso la mia cassa pensione e oggi non dipendo dallo Stato, a differenza di molte persone. Pago le mie imposte al 100%! Non devo ringraziare nessuno!

2021 ...